Ricchezza di storia è anche abbondanza di tradizioni. Dalla tavola, alle feste, ai riti sacri Ischia riserva mille sorprese ed una di queste è certamente la ‘Ndrezzata (in dialetto ischitano “intrecciata”), una danza le cui origini affondano nei miti greci.
I 18 danzatori, che si tramandano di padre in figlio le complesse movenze, possono essere sicuramente ammirati nel villaggio di Buonopane a Pasquetta oppure il 24 giugno, durante i festeggiamenti per San Giovanni Battista, anche se non mancano altre occasioni in tutta l’isola durante la bella stagione per la gioia dei turisti.
La leggenda vuole che le ninfe praticassero questa danza al ritmo di spade di legno battute dai satiri su rudimentali manganelli con accompagnamento di melodie suonate sulla cetra da Apollo. Egli si innamorò intensamente di una di queste, Coronide, e pienamente appagato dal sentimento, decise di donare la proprietà di offrire bellezza e guarigione alla fonte Nitrodi, presso la quale si svolgevano le danze. Dalla loro unione nacque Asclepio, il quale rimase presto orfano di madre, uccisa dal dio in un accesso d’ira in seguito al tradimento di lei con il satiro Ischi. Asclepio reagì contaminando le acque della sorgente beneficata da Apollo con un intruglio di erbe che rendeva litigioso e geloso chiunque vi si abbeverasse. E così gli abitanti di Barano e Buonopane, che si rifornivano d’acqua proprio a Nitrodi, furono per secoli in aspra contesa, fino a quando nel 1540 una fanciulla perse una cintura di corallo donatale dal fidanzato, un pescatore di Barano. La ritrovò un giovane di Buonopane, che si rifiutò di riconsegnarla, scatenando un’altra furibonda lite con gli abitanti di Barano. Fortunatamente questa volta prevalse la ragione e fu siglata una pace duratura, suggellata da un simbolico rogo della cintura motivo del contendere il Lunedì dell’Angelo davanti alla chiesa di San Giovanni Battista. Indovinate come festeggiarono buonopanesi? Ballando proprio la ‘Ndrezzata, ereditata dalle ninfe della sorgente Nitrodi.
La ‘Ndrezzata si divide in tre fasi ben distinte: sfilata, predica e danza. Durante la sfilata metà dei danzatori entra con un giubbetto rosso, che rappresenta gli uomini, mentre l’altra metà indossa un corpetto verde, che simboleggia le donne. Alla testa del gruppo sfila il caporale, al suono di due clarini e due tammorre. Al termine della sfilata i gruppi di danzatori formano due cerchi concentrici, impugnando, proprio come i satiri della leggenda, un mazzariello nella mano destra e una spada di legno in quella sinistra. Agli ordini del caporale parte la danza, che sembra ricalcare le mosse di base della scherma e prevede due sono le figure fondamentali: la formazione della rosa con l’intreccio delle mazzarielle e la “vattut’ e ll’astreche“. La predica avviene proprio durante la prima figura; il caporale viene elevato sulla rosa formata con le mazzarielle e in antico dialetto ischitano recita strofe dedicate all’amore, alla paura dei saraceni, alle fughe sul monte Epomeo, alla difficoltà del lavoro nei campi ed infine alla “vattut’ e ll’astreche”, cioè all’impermeabilizzazione del tetto bombato delle case con pomice e calce pressati, frequente nella nostra zona fino alla fine degli anni ‘50. Per la seconda figura si simula proprio quest’operazione girando intorno e colpendo ritmicamente con il “pentone” (una lunga asta di legno con l’estremità inferiore allargata) una sagoma di legno che rappresenta il tetto a cupola. L’impermeabilizzazione di un tetto con questo sistema rappresentava un momento di aggregazione e collaborazione dell’intera comunità. La fatica veniva alleviata con la musica che dava il ritmo alla battitura e con la buona cucina.
Si comprende pertanto perché la ‘Ndrezzata, sublimando mito, storia ed azioni della vita quotidiana, abbia destato tanto interesse negli antropologi, anche se per godere dello spettacolo basta lasciarsi trascinare dal crescendo vorticoso del ritmo che lo caratterizza.